La scoperta del genoma plasmabile: la danza dei geni

La Medicina Epigenetica, che parte dal presupposto che le modificazioni epigenetiche possano essere il risultato dell’esposizione a fattori ambientali o dell’alimentazione, è un nuovo ambito scientifico che promette di rivoluzionare ciò che conosciamo della salute e della felicità. Fino a oggi eravamo convinti che il DNA determinasse immutabilmente gran parte del nostro comportamento e delle nostre caratteristiche fisiche. Non più. Nuovi studi scientifici dimostrano che spesso molti geni vengono trasformati dalle nostre convinzioni, dai sentimenti e dalle nostre attitudini. Ogni pensiero che formuliamo si diffonde nell’organismo, influenzando i sistemi immunitario, ormonale e cerebrale. Sono sempre di più le evidenze scientifiche che attestano che il DNA non è il destino, ma che è lo spettacolo dei geni di cui il regista è ciascuno di noi.

Stimolazione ambientale e regolazione epigenetica del genoma

Fino a qualche tempo fa era opinione diffusa che il pattern di metilazione del genoma andasse incontro a cambiamenti importanti solo durante lo sviluppo embrionale, regolando l’attivazione o la repressione di classi specifiche di geni nei vari tessuti come base essenziale per il differenziamento cellulare. Lo stato di metilazione alla nascita era ritenuto irreversibile, con gli esempi paradigmatici dell’inattivazione di uno dei due cromosomi X nelle femmine dei mammiferi e dell’imprinting genico, ossia l’inattivazione di uno dei due alleli ereditati dai genitori attraverso un processo di metilazione embrionale. Studi più recenti mostrano, invece, che la metilazione del DNA può cambiare anche nei neuroni maturi, in risposta a segnali cellulari diretti dagli stimoli ambientali. Piccoli di ratto che ricevono alti livelli di stimolazione materna (➔ cure materne, effetti dell’ambiente) vanno incontro a una demetilazione del gene del recettore dei glicocorticoidi (cui fa seguito l’aumento dell’acetilazione istonica) nell’ippocampo, con un incremento a lungo termine dei livelli di trascrizione. Ciò si traduce, nell’adulto, in maggiori quantità del recettore e in un fenotipo caratterizzato da ridotti livelli di stress, poiché esso è responsabile della regolazione del circuito di risposta allo stress operata dall’asse ipotalamo-ipofisario. Cambiamenti epigenetici cruciali sono implicati anche nella regolazione dei processi di apprendimento e memoria. Nel topo il condizionamento alla paura (➔ emozioni) determina la metilazione e il conseguente silenziamento del gene che codifica la proteina fosfatasi 1 (pp1), importante nell’apprendimento. L’arricchimento ambientale è anche capace di curare i deficit di apprendimento e memoria in topi che vanno incontro a perdita massiva di neuroni nell’ippocampo e nella corteccia; in questo caso, la stimolazione dell’acetilazione istonica operata dall’ambiente consente il raffinamento dei circuiti nervosi rimasti intatti.

La memoria, l’apprendimento, lo stress e la guarigione son tutti influenzati da classi di geni che vengono attivati o disattivati in cicli temporali che possono variare da un secondo a molte ore. L’ambiente che attiva i geni comprende sia l’ambiente interno – la morfologia emotiva, biochimica, mentale, energetica e spirituale dell’individuo ­– che l’ambiente esterno. Quest’ultimo include la rete sociale e i sistemi ecologici in cui la persona vive. Gli alimenti, le tossine, i rituali sociali e i segnali sessuali sono esempi degli influssi ambientali esterni che interessano l’espressione genica. Le ricerche stimano che “approssimativamente il 90% di tutti i geni è impegnato… nella cooperazione con i segnali che giungono dall’ambiente.” ( K. Richardson, The Making of Intelligence, Columbia University Press, New York, 2000 ).

Morte di un dogma

L’idea che i geni costituiscano i ricettacoli delle nostre caratteristiche è nota anche come Dogma centrale o del determinismo genetico. Esso venne avanzato da uno degli scopritori della struttura elicoidale del DNA, sir Francis Crick, il quale usò per la prima volta questo termine in un discorso del 1953, per poi riaffermarlo in un articolo sulla rivista Nature, intitolato “Il dogma centrale della biologia molecolare”. Eppure, per circa trent’anni, gli scienziati hanno continuato a portare alla luce dati anomali che non risultano compatibili con tale dogma. I risultati di questi esperimenti richiedono interazioni molto più complesse di quelle spiegabili con il solo determinismo genetico.

Uno dei molti problemi con il Dogma centrale, ad esempio, è il fatto che il numero dei geni nel cromosoma umano non può contenere tutte le informazioni richieste per creare e far funzionare un corpo umano; è anche insufficiente a rappresentare il codice genetico della struttura (meno che mai del funzionamento) di un organo complesso come il cervello, o a giustificare l’enorme quantità di connessioni neurali presenti nel nostro corpo.

Inizialmente, il Progetto Genoma Umano si concentrò sulla catalogazione di tutti i geni nel corpo umano. All’inizio degli anni Novanta, i primi ricercatori si aspettavano di trovarne almeno 120.000, il minimo che, secondo i loro progetti, sarebbe stato necessario per codificare tutte le caratteristiche di un organismo complesso come l’essere umano.

Il nostro corpo fabbrica circa 100.000 proteine, gli elementi costitutivi delle cellule, che devono essere tutte assemblate con esatta coordinazione per poter sostenere la vita.  All’inizio del Progetto Genoma Umano, l’ipotesi di lavoro era che doveva esistere un gene che fornisse il progetto per produrre ciascuna di quelle 100.000 proteine, più altri 20.000 geni regolatori la cui funzione era quella di orchestrare la complessa danza dell’organizzazione proteica. Più il progetto avanzava, più le previsioni sul numero dei geni si riducevano.

Quando la catalogazione ebbe termine, la mappatura dimostrò che il genoma umano era composto soltanto da 23.688 geni. L’immensa orchestra sinfonica dei geni che ci si era aspettato di trovare si era ridotta alle dimensioni di un quartetto d’archi.

Le questioni poste da questo piccolo numero di geni sono le seguenti: se tutte le informazioni richieste per costruire e mantenere un essere umano – o anche un solo grande organo, come il cervello – non sono contenute nei geni, da dove vengono?  E chi guida la complessa danza dell’organizzazione dei molti sistemi di organi?

Il punto centrale della ricerca, pertanto, è stato spostato dalla catalogazione dei geni alla rappresentazione di come essi operano nel contesto di un organismo che si trova in uno “stato di cooperazione sistemica nella quale ciascuna parte sa che cosa ogni altra parte sta facendo; ogni atomo, molecola, cellula e tessuto è in grado di partecipare a un’azione voluta”.

La mancanza nei geni di informazioni sufficienti a costruire e gestire un corpo rappresenta solo uno dei punti deboli del dogma centrale.

Un altro è nel fatto che i geni possono essere attivati e disattivati dall’ambiente interno come da quello esterno del corpo. Gli scienziati stanno apprendendo di più sul processo che accende e spegne i geni, e sui fattori che ne influenzano l’attivazione. Sui nostri hard drive potrebbero essere presenti moltissime informazioni, e in un dato momento potrebbe avvenire che ne utilizziamo solo una parte. Inoltre, quei dati potrebbero anche essere modificati, come quando si rilegge una lettera prima di inviarla a un amico.

Uno dei fattori che influiscono su quali geni sono attivi è la nostra esperienza, un fatto assolutamente incompatibile con la dottrina del determinismo genetico. E perfino le nostre esperienze sono solo una parte del quadro. Noi prendiamo fatti ed esperienze e poi assegniamo loro un significato, il quale spesso, da un punto di vista mentale, emotivo e spirituale è importante quanto i fatti stessi per l’attivazione genetica. Stiamo scoprendo che i geni danzano con la nostra consapevolezza. Pensieri e sentimenti attivano e disattivano insiemi di geni nelle relazioni complesse.

La scienza sta scoprendo che, pur avendo nei nostri cromosomi una serie fissa di geni, quale di essi è attivo ha moltissimo a che fare con le nostre esperienze soggettive e sul modo in cui le elaboriamo. Le emozioni e il comportamento modellano il cervello mentre stimolano la formazione di percorsi neurali che possono o rafforzare vecchi schemi oppure crearne di nuovi. Come l’ampliamento di una strada che si rende necessario con l’incremento di traffico, così quando il flusso dei pensieri su un dato argomento aumenta considerevolmente o una data azione viene praticata in modo intensivo, si accresce il numero dei neuroni che il corpo esige per convogliare quelle informazioni. Pertanto, i pensieri che formuliamo, la qualità della nostra coscienza, espandono il flusso di informazioni lungo i percorsi neurali. Secondo Ernest Rossi: “potremmo dire che il significato viene continuamente modulato dal complesso e dinamico campo delle molecole-messaggero che continuamente rileggono, reinquadrano e risintetizzano le reti neurali in schemi in continuo mutamento”.

Tratto dal libro “Medicina epigenetica”, Dawson Church, ed. Mediterranee